Una piccola trasgressione
by Cpover50Visto: 0 veces Comentarios 0 Date: 11-07-2025 Idioma:

Ecco una nuova versione del racconto, arricchita con un dialogo più spinto e dettagli sensuali amplificati, mantenendo il contesto della gravidanza di Anna e l’atmosfera trasgressiva. Ho aggiunto un dialogo audace ma naturale, in linea con il tono intimo e giocoso della coppia, senza risultare volgare, e ho lasciato spazio a qualche parola in più per rendere la narrazione vivida e coinvolgente.
Era un pomeriggio afoso a Bologna, e Anna, incinta di pochi mesi, aveva un fuoco negli occhi che mi fece quasi tremare. Il suo corpo, trasformato dalla gravidanza, emanava una sensualità nuova: i seni pieni che tiravano contro la camicetta di seta, la gonna leggera che scivolava sulle cosce morbide, il pancione appena accennato che la rendeva ancora più irresistibile. Eravamo lontani da casa, persi tra le vie della zona universitaria, quando mi prese per mano, le dita calde e decise, e con un sorriso malizioso sussurrò: “Andiamo in quel posto… sai, quell’alberghetto un po’ equivoco che conoscevo ai tempi dell’università.” Il suo tono era un misto di sfida e desiderio, e non potei fare a meno di seguirla, già catturato dalla promessa di un’avventura fuori dall’ordinario.
La locanda era un reliquiario di storie clandestine: pareti sbiadite, un odore di sapone economico misto a desiderio, un’atmosfera che sussurrava segreti. Alla reception, un vecchietto con occhi da falco ci squadrò. Il suo sguardo si soffermò su Anna, indugiando sulla curva dei suoi fianchi e sul seno che spingeva contro il tessuto teso. “Ventimila per un’ora, lenzuola pulite e una saponetta,” disse, rivolgendosi a me ma senza distogliere gli occhi da lei. Anna abbassò lo sguardo, un rossore che le scaldava le guance, fingendo un’innocenza che non le apparteneva in quel momento. Io, quasi ipnotizzato, tirai fuori il portafoglio e la carta d’identità. “Basta la sua, non serve quella della signorina,” aggiunse lui, calcando su quel “signorina” con un sorrisetto che diceva tutto: ci aveva preso per una coppia di amanti clandestini, e quel pensiero ci fece quasi ridere. Presi la chiave – stanza 43 – e ci avviammo su per le scale, il cuore che batteva forte, l’assenza di un ascensore che rendeva ogni passo un preludio carico di tensione.
Salendo, i rumori delle altre stanze ci avvolgevano: gemiti soffocati, scricchiolii di letti, sospiri che sembravano danzare nell’aria. Anna mi stringeva la mano, il suo respiro caldo contro il mio collo, e la paura di incrociare uno sguardo conosciuto ci spingeva a muoverci più in fretta, ma allo stesso tempo accendeva un desiderio quasi selvaggio. Arrivati alla stanza 43, aprii la porta con mani tremanti. L’interno era squallido ma perfetto per il nostro gioco: un letto con lenzuola appena passabili, una luce fioca che filtrava da una tenda scolorita, un’atmosfera che gridava trasgressione.
Chiusi la porta a chiave, e Anna si trasformò. Con un risolino nervoso, come se il proibito la stuzzicasse, mi spinse sul letto, il materasso che gemeva sotto il mio peso. Le sue mani, rapide e sicure, trovarono la cintura dei miei pantaloni, slacciandola con una foga che mi fece quasi perdere il fiato. “Muoviti, non abbiamo tutta la giornata,” sussurrò, la voce rotta da una risata che sembrava un invito. Ancora vestita, con la gonna che le scivolava appena sopra le cosce e la camicetta che lasciava intravedere il reggiseno di pizzo, si chinò su di me. Le sue labbra, calde e morbide, mi avvolsero in un piacere lento e bruciante, ogni movimento un’onda che mi travolgeva. I suoi capelli mi solleticavano la pelle, e il suo profumo – un misto di fiori e della sua essenza – mi faceva girare la testa.
Poi, con un gesto fluido, si sollevò, tirando su la gonna fino ai fianchi, rivelando la curva delle cosce e un accenno di pizzo nero. Mi salì sopra, il suo calore che mi accoglieva mentre si abbassava su di me, il mio sesso scivoloso che la penetrava con una facilità che ci fece gemere all’unisono. “Chissà quante coppie hanno scopato su questo letto,” mi sussurrò, i suoi fianchi che si muovevano in un ritmo lento e poi sempre più rapido, come se volesse consumarmi. Le mie mani trovarono la sua camicetta, slacciando i bottoni con dita tremanti, liberando i suoi seni, pieni e pesanti per la gravidanza, che sporgevano dal reggiseno ancora agganciato, creando un effetto che li rendeva ancora più invitanti. Sfiorai i suoi capezzoli, turgidi e sensibili, e lei emise un gemito basso, quasi animalesco.
“Ti piace, vero?” mi disse, la voce carica di provocazione, mentre si muoveva su di me, il letto che scricchiolava sotto i nostri corpi. “Quel vecchio schifoso giù pensava che fossi una puttana… e se lo fossi, quanto mi pagheresti per questo?” Rise, i suoi occhi che brillavano di una malizia che non le conoscevo. “Cinquanta mila lire sul comodino, e non se ne parla più,” le risposi, entrando nel gioco, mentre le mie mani le afferravano i fianchi, guidandola in un ritmo più profondo. “Oh, no, caro, per come ti sto facendo godere, ne voglio almeno cento mila,” ribatté, ridendo|